mercoledì 2 marzo 2016

QUARTA QUARESIMA C

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


L’amore smisurato del Padre
 
Il Vangelo ascoltato oggi è uno dei più bei racconti di Gesù. Semplice, ma articolato. Splendido, ma problematico. In quale protagonista riconoscersi? In uno o in tutti e tre, a seconda delle fasi della nostra vita? Andremmo veramente d’accordo con questo padre dall’amore esagerato o ci ritroveremmo più facilmente nelle rivendicazioni del figlio maggiore? La parabola ascoltata non ci ritrova convinti neppure del titolo: il “figliol prodigo”, o il “padre misericordioso”? Sicuramente questo piccolo capolavoro di Gesù si presta a molteplici interpretazioni, talmente è curato nei particolari.
In questo tempo di Quaresima, però, evitiamo di puntare il dito verso gli altri e chiediamoci come questa storia può trasformare la nostra vita. L’esperienza della carestia, della solitudine, della sconfitta è odiosa. Ma proprio la crisi può aiutarci a «rientrare in noi stessi», trovando il coraggio di ammettere i nostri errori, di chiedere scusa, di rialzarci e tornare a ciò che ci dà gioia e amore.
In questo percorso, sulla parola di Gesù, possiamo esser certi che Dio è per noi, perché il suo amore è prima di tutto. Il padre ha «bisogno di fare festa», perché quel figlio era morto, perduto, e ora è vivo, ritrovato. Nessun torto al figlio corretto, che non è abbandonato nella sua indignazione, ma è «supplicato» dallo stesso padre di entrare alla festa, di comprendere il suo amore. Ci riuscirà? La parabola non ce lo dice. Ma chiunque dovrebbe essere felice di un padre che, come scriveva Eric Fromm, non dice «Ti amo perché ho bisogno di te», ma «Ho bisogno di te perché ti amo». Questo è l’amore maturo, questa è la direzione di crescita dell’amore, questo è l’Amore di Dio per noi.  



“O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione”: è con questa preghiera che apriamo la liturgia di questa domenica. Il Vangelo ci annuncia una misericordia che è già avvenuta e ci invita a riceverla in fretta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, dice san Paolo (2Cor 5,20).
Il padre non impedisce al suo secondogenito di allontanarsi da lui. Egli rispetta la sua libertà, che il figlio impiegherà per vivere una vita grigia e degradata. Ma mai si stanca di aspettare, fino al momento in cui potrà riabbracciarlo di nuovo, a casa.
Di fronte all’amore del padre, il peccato del figlio risalta maggiormente. La sofferenza e le privazioni sopportate dal figlio minore sono la conseguenza del suo desiderio di indipendenza e di autonomia, e di abbandono del padre. La nostalgia di una comunione perduta risveglia in lui un altro desiderio: riprendere il cammino del focolare familiare.
Questo desiderio del cuore, suscitato dalla grazia, è l’inizio della conversione che noi chiediamo di continuo a Dio. Siamo sempre sicuri dell’accoglienza del padre.
La figura del fratello maggiore ci ricorda che non ci comportiamo veramente da figli e figlie se non proviamo gli stessi sentimenti del padre. Il perdono passa per il riconoscimento del bisogno di essere costantemente accolti dal Padre. Solo così la Pasqua diventa per il

cristiano una festa del perdono ricevuto e di vera fratellanza.


PADRE MISERICORDIOSO

Ti lodo e ti ringrazio, mio Dio,
per l’amore di Padre che tuo Figlio mi ha rivelato.
Anche a me, novello figlio incerto e peccatore.
Da lontano sai vedermi, così come sono e come posso essere.

Non ti dimentichi mai di me, perché il mio bene è la tua gioia.
Hai compassione e comprensione per il mio cuore e i miei pensieri;
non ti spaventi per le mie mancanze,
perché conosci le mie intenzioni e le mie fragilità,
rovescio della medaglia delle mie virtù.
Mi hai fatto tu così: non ti vergognerai mai di me.

Mi corri incontro, Signore,
perché il tuo amore non sa stare fermo.
Previeni le mie richieste, sai già ciò di cui ho bisogno.
Quando sembra non mi ascolti o tu non ci sia,
in realtà mi stai già aspettando un po’ più in là,
perché lì passa il mio personale percorso verso la pienezza.

Il tuo abbraccio è discreto come l’aria che mi avvolge,
forte come la gravità che mi radica alla terra,
caloroso come fiamma duratura per l’anima infreddolita.
Sei tu a gettarti al collo delle tue creature,
in un moto perpetuo di affetto e di considerazione,
la cui intensità nessun uomo potrebbe raggiungere.

Come un bacio è la tua Parola,
messaggio della mente e del cuore per l’umanità che ami.
Delicata o dirompente, simbolica o evidente,
semplice o esigente, profonda o coinvolgente:
basta un versetto o una citazione,
un suggerimento o un’intuizione,
e arriva una tua risposta, forse inattesa,
a fare della vita una banchetto, una musica, una danza.



Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 05/03/16 ore 13.15 e ore 20.30
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Martedì 08/03/16 ore 17. 10

* Un convegno biblico sulla speranza della Croce
* La Caritas di Bolzano-Bressanone a servizio dei profughi
* L'istituzione dei nuovi ministri straordinari dell'Eucarestia
*  "72 ore senza compromessi", edizione 2016


LE FERITE
Un uomo morì e arrivò alle porte del cielo.
L'angelo addetto all'accoglienza gli chiede: "mostrami le tue ferite"
Sorpreso, l'uomo replicò: "Ferite? Non ne ho",
E l'angelo gli disse: "Non hai mai pensato che ci fosse qualcosa per cui valesse la pena di combattere?"
Arriveremo con quanto di più prezioso abbiamo, le molte ferite della nostra storia. Le ferite ci hanno scavato. Ci hanno costretto a prendere distanza dalla ricchezza esteriore. La realtà più preziosa che abbiamo è un cuore che è capace di amare. Le ferite ci hanno messo in contatto con il nostro cuore.