sabato 16 marzo 2019

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA C

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto


Nella Trasfigurazione, Gesù è indicato come la vera speranza dell’uomo e come l’apogeo dell’Antico Testamento. Luca parla dell’“esodo” di Gesù, che contiene allo stesso tempo morte e risurrezione.
I tre apostoli, vinti dal sonno, che rappresenta l’incapacità dell’uomo di penetrare nel Mistero, sono risvegliati da Gesù, cioè dalla grazia, e vedono la sua gloria. La nube, simbolo dell’immensità di Dio e della sua presenza, li copre tutti. I tre apostoli ascoltano le parole del Padre che definiscono il Figlio come l’eletto: “Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo”. Non c’è altro commento. Essi reagiscono con timore e stupore. Vorrebbero attaccarsi a questo momento, evitare l’attimo seguente della discesa dalla montagna e il suo fardello di abitudine, di oscurità, di passione.
La Gloria, Mosè ed Elia, scompaiono. Non rimane “che Gesù solo”, sola verità, sola vita e sola via di salvezza nella trama quotidiana della storia umana. Questa visione non li solleverà dal peso della vita di tutti i giorni, spesso spogliata dello splendore del Tabor, e neanche li dispenserà dall’atto di fede al momento della prova, quando i vestiti bianchi e il viso trasfigurato di Gesù saranno strappati e umiliati. Ma il ricordo di questa visione li aiuterà a capire, come spiega il Prefazio della Messa di oggi, “che attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”.



Uno squarcio nell’incredulità  

 Quanto conta nella nostra vita la fede? Non soltanto l’adesione al «credo» cristiano, ma l’atteggiamento di fiducia in Dio Padre, la consapevolezza che lui manterrà le sue promesse, la scelta di abbandonarsi tra le sue mani?
Non mancava certo di fede il patriarca Abramo, che credette a una discendenza numerosa come le stelle del cielo quando non aveva neppure un figlio. Come Gesù, colloquiava con Dio ed era aperto a ciò che ci supera. Quanto al Vangelo, avviene come un prodigio che ci conferma, almeno per un tempo limitato, che siamo sulla giusta strada.
I segni non sono prove, giungono improvvisi in un contesto incerto, come un dono gratuito, e si possono soltanto testimoniare. Pietro, Giacomo e Giovanni avranno certo dubitato sulla realtà della visione di Gesù trasfigurato insieme a Mosè ed Elia, di cui certamente non conoscevano il volto. Avrebbero voluto afferrare la verità, ma questa scomparve nella nube, segno dello Spirito di Dio.
Sappiamo che questo segno non fu sufficiente a renderli più coraggiosi degli altri Apostoli nei momenti della passione e della morte del Signore. Ma tutto questo è stato scritto per noi, per spingerci a fidarci in un Dio che ha ben chiara la gloria che spetta a chi lo avrà intuito e seguito, pur tra gli errori e i dubbi dell’esistenza, nel suo percorso di vita. 


IL MIO ESODO

Anch’io, Signore, ho il mio esodo da compiere.
Debbo uscire dal sonno dell’entusiasmo e della fiducia,
della gioia e della carità, della gentilezza e del perdono.
Debbo uscire dalle nubi dei timori e delle incertezze,
delle tensioni e delle fatiche, delle cadute e delle malinconie.
Debbo uscire dalle sabbie mobili
dei vizi che ammorbano le relazioni che sto vivendo,
dei peccati che sviliscono il mio incontro con te,
delle notti che spengono i miei slanci di vita.
Debbo uscire dalle mie pretese
di avere chiaro e lineare
il mio futuro e quello dei miei cari,
perché tu mi vuoi vero e grande
nonostante i limiti che
la vita con i suoi incontri
porta con sé. 


VANGELO VIVO

 

Solo dopo un’ora di colloquio il giornalista Michele Brambilla trova la sfrontatezza per la domanda che si era ripromesso di rivolgere al cardinale più vecchio del mondo: «Ma lei eminenza ha paura della morte?». «No», rispose Ersilio Tonini, 97 anni, con immediatezza e vigore. «Ha mai dubbi di fede?». «No, grazie a Dio non ho mai avuto dubbi». Risposta forse scontata per un prelato, ma il giornalista annota che il cardinale trasmette qualcosa che ti fa pensare: questo ci crede davvero. L’intervista si svolge nella sua abitazione: due piccole stanze in un istituto di Ravenna per malati gravi. Ma non è lì perché sta poco bene, è la sua casa da quando nel 1975 fu nominato vescovo di Ravenna. Decise subito di lasciare l’appartamento riservato all’arcivescovo, in una splendido palazzo, a una comunità di recupero per tossicodipendenti. «Ho imparato a non aver paura della morte – prosegue – quando sono stato parroco a Salsomaggiore. Appena arrivato mi mandano a chiamare: c’è uno che sta morendo e vuole il prete. Ricordo ancora che faceva il tassista. Mi dice: reverendo mi aiuti, voglio comparire davanti a Dio con l’anima libera. Andava incontro alla morte con una serenità impensabile. Mi dissi: c’è sempre gente che ci supera, all’infinito, nella fede».




Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 16/03/19 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 17/03/19 ore 13.30 e ore 20.35

In cammino verso la Pasqua
La Chiesa di S. Apollinare di Arco, luogo dell'Infinito
Alla Cattedra del confronto l'umiltà
Chiara Lubich in "Ritratti di santi"