martedì 12 giugno 2018

UNDICESIMA DOMENICA B DEL TEMPO ORDINARIO


Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.


Una volta seminato nel cuore dell’uomo, il regno di Dio cresce da sé. È una meraviglia di Dio tanto grande e tanto bella
quanto grande e bella è la crescita delle piante, e tanto misteriosa quanto misteriosa è la trasformazione di un bambino che cresce e diventa uomo. Così la crescita del regno di Dio non dipende dalle forze umane; essa supera le capacità umane poiché ha in sé un proprio dinamismo.
Questo messaggio è un messaggio di speranza, poiché, adottando una prospettiva umana, potremmo dubitare del trionfo del regno di Dio. Esso si scontra con tanti ostacoli. Esso è qui rifiutato, là respinto, o, in molti luoghi, sconosciuto del tutto. Noi stessi costituiamo un ostacolo alla realizzazione del regno di Dio con la nostra cattiva volontà e con i nostri peccati. È bene dunque che sappiamo che, a poco a poco con una logica che non è quella umana, con un ritmo che a noi sembra troppo lento, il regno di Dio cresce. San Paolo, che era ispirato, percepiva già i gemiti di tale crescita (Rm 8,19-22). Bisogna conservare la speranza (Eb 3,6b). Bisogna ripetere ogni giorno: “Venga il tuo regno!”. Bisogna coltivare la pazienza, quella del seminatore che non può affrettare l’ora della mietitura (Gc 5,7-8). Bisogna soprattutto non dubitare della realtà dell’azione di Dio nel mondo e nei nostri cuori. Gesù ci dice questo poiché sa che il pericolo più grande per noi è quello di perdere la pazienza, di scoraggiarci, di abbandonare la via e di fermarci. Noi non conosciamo né il giorno né l’ora del nostro ingresso nel regno o del ritorno di Cristo. La mietitura ci sembra ancora molto lontana, ma il tempo passa in fretta: la mietitura è forse per domani.



La forza di un minuscolo seme

 Gli studiosi dei Vangeli affermano che Gesù raccontò le parabole del seminatore e della semente in un momento di crisi. Egli stava spargendo la sua Parola tra la gente, ma essa produceva frutto scarso, e i suoi discepoli ne erano rattristati.
Gesù prova con semplicità a educarli a una mentalità di fede e di speranza: il seme produrrà frutto a suo tempo, indipendentemente dalle preoccupazioni successive del contadino e dalla grandezza del seme stesso. Anzi, è destinato a fare rami così ampi, che gli uccelli del cielo potranno fare il nido in esso.
Chi ha a che fare con l’educazione, la catechesi, l’annuncio della Parola, trova spesso nelle nuove generazioni indifferenza se non rifiuto. L’impressione generale è che gli aspetti etici siano sempre meno considerati, e che i cosiddetti “millennials”, i giovani dal 2000 in poi, siano centrati su se stessi, come metteva in luce una celebre copertina della rivista americana Time: la generazione “me, me, me”, cioè “io, io, io”.
Gesù ci esorta ad avere fiducia nel seme, che viene da Dio ma è profondamente umano. E fiducia nella sua immagine in ogni persona, che specie nell’adolescenza subisce l’influsso degli stimoli che lo circondano, ma non può opporsi all’appello interiore, alle potenzialità dell’incontro e alle spinte della sensibilità che hanno fatto crescere l’umanità, in ogni tempo e ogni luogo.
 
 
IL BUON SEME DI OGNI MATTINO

Vorrei fare della terra un giardino
che canta ciò che è buono, che esalta ciò che è vero.
Vorrei spazzare la mia città, togliendo dalle case e dalle strade
l'ubriacone e il violento, il menefreghista e l'avaro,
il prepotente e l'ingiusto, il politico corrotto e il prete insulso,
chi guadagna troppo e chi non vuol lavorare,
lo scassinatore e il mantenuto, l'arrivista e l'oppressore.
Vorrei fare della terra un giardino
che profuma ogni mattino, che rallegra ogni sera.
Ma è giusto, o Signore, che avvenga così?
È una pretesa la mia, orgogliosa e sciocca, farisaica e intollerante.
Tu sei molto più paziente di me
e fai piovere sul campo del giusto e dell'ingiusto.
Io devo solo gettare dovunque i semi dei fiori,
anche se cadono sulle pietre e fra le spine e la zizzania.
Ci sarà pur sempre un po' di terra che,
accogliendo il seme, diventerà giardino
perché il Padre che sta nei cieli lo irrigherà,
lo feconderà, lo cingerà con la siepe del suo amore...
Aiutami, o Signore, a non crucciarmi di ciò che vedo;
a non arrabbiarmi per ciò che incontro,
ma ad essere soltanto e sempre il buon seme di ogni mattino.

                                                                                                (don Averardo Dini)

 
Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 16/06/18 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 17/06/18 ore 13.30 e ore 20.35

Santuario Madonna del Feles, luogo dello spirito
Gli "Sguardi" di Carlo Adolfo Fia
Quando la cucina diventa rinascita
Percorsi di vita e fine vita, ricordando Dennis
 
Gradini
Come ogni fiore che appassisce e ogni gioventù
 
cede alla vecchiaia, così ogni gradino della vita,
ogni saggezza, e ogni virtù fiorisce
a suo tempo e non può durare eternamente.
Bisogna che il cuore sia pronto ad ogni nuova chiamata,
a dire addio e a ricominciare di nuovo,
per darsi nuovi legami con coraggio e senza tristezza.
E in ogni nuovo inizio abita un incanto interiore
che ci protegge e ci aiuta a vivere.
Dobbiamo attraversare sereni un posto e un altro,
non attaccarci a nessuno come a una patria,
lo spirito del mondo non vuole legarci o stringerci,
vuole innalzarci, ampliarci gradino per gradino.
Appena ci siamo abituati e ci sentiamo familiari siamo tentati di cedere;
solo chi è preparato alla partenza e al viaggio
ama staccarsi dalla paralizzante abitudine.
Forse anche l’ora della morte ci manderà giovani, incontro a spazi nuovi.
Il richiamo della vita per noi non finirà mai.
Orsù, dunque, cuore, prendi congedo e guarisci.
 
                                                                                   Hermann Hesse