domenica 26 agosto 2018

VENTIDUESIMA DOMENICA TEMPO ORDINARIO B

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».


“Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Nella discussione tra Gesù e i farisei si percepiscono forti tensioni. Oggetto del dibattito è la “religione pura” (Gc 1,27). Gesù pone al centro di essa il cuore dell’uomo e la sua liberazione dal male, mentre i farisei difendono il rituale esteriore della religione venuta da Dio.
“Il suo cuore è lontano da me”. Tutti dobbiamo ammettere questa verità, che noi non controlliamo il nostro cuore. Quanti vorrebbero smettere di bere troppo e non lo possono fare? Prendiamo anche il noto esempio del grande santo della Chiesa dei primi secoli, il cui cuore fu così diviso, per molti anni, da spingerlo a pregare così: “Signore rendimi casto, ma non subito!” (Sant’Agostino).
Quanti vorrebbero disfarsi dell’invidia e dell’orgoglio e, invece, si sorprendono a fare il contrario?
“Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto” (Rm 7,15).
Spesso ci rendiamo conto di questo per la prima volta quando cominciamo a prendere più seriamente la nostra fede e a seguire più da vicino un modo di vita cristiano. Ci stupiamo della nostra tendenza a ripetere gli stessi errori e a ricadere nello stesso peccato. Cominciamo a capire il grido di san Paolo: “Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,24).
“Il suo cuore è lontano da me”. Il fine della vita cristiana è l’unione con Dio e l’unità con il prossimo. Per raggiungere questo scopo, dobbiamo innanzi tutto essere liberi dalla schiavitù delle cattive intenzioni. Dobbiamo conquistarci la libertà! Quest’impresa è interamente opera della grazia del Redentore. Così Gesù promette: “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Gv 8,36).
La Chiesa cattolica non ha per fine quello di dare spettacolo, ma piuttosto quello di adempiere ad un dovere semplice e divino: la conversione della nostra vita grazie ad un cambiamento di cuore, ispirato dalla grazia. La Chiesa ritiene che, facendo ciò, ha fatto tutto mentre, se non fa ciò, non vale la pena di fare nient’altro. Essa prega, predica e soffre per un vero battesimo del cuore, a fine di liberarlo perché accolga Cristo.



Con le labbra e col cuore

 
«Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto... trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Queste parole dirette di Gesù ci inchiodano alle nostre responsabilità. Ci sono cristiani fortemente convinti che moltiplicano le proprie presenze alle liturgie, partecipano a ritiri e pellegrinaggi, sono orgogliosi della propria identità di fede, che testimoniano e difendono a spada tratta. Sono innamorati della propria spiritualità, spesso incontrata dopo una conversione eclatante, e sentono il proprio cuore e le proprie idee benedetti da Gesù. Nulla di male in tutto questo, anzi! Purché questa bellezza non sia sporcata da duri giudizi su chi percorre altre vie di spiritualità, da sentimenti di intolleranza e odio per chi è diverso, da omissioni nel campo della carità e della giustizia.
Dio è onorato con il cuore (nell’epoca di Gesù, sede di intelligenza e volontà, più che di sentimenti ed emozioni, per loro natura passeggeri) quando il nostro atteggiamento è simile al suo: amore fattivo e concreto, gratuito e incondizionato, misericordioso e appassionato. Dio è onorato, ancor più che nei luoghi sacri, nella risposta concreta ai bisogni di chi è un fratello “piccolo”, “ultimo”, “povero” di qualche cosa che noi, invece, per un dono spesso immeritato, abbiamo. Lodiamo Dio, dunque, con le labbra, e facciamo in modo che corrispondano al nostro cuore. 


 IO VORREI DONARE AL SIGNORE

Io vorrei donare una cosa al Signore, ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade zufolando, così,
fino a che gli altri dicono: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò sulla via inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani le campane sulla torre
a più riprese finché non sarò esausto.
E a chiunque venga, anche al ricco, dirò: siediti pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti: avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore, ma non so che cosa.
Tutto è un suo dono eccetto il nostro peccato.
Ecco gli darò un’icona dove lui bambino guarda
gli occhi di sua madre: così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato una goccia di rugiada
- è già primavera, ancora primavera, una cosa insperata
non meritata, una cosa che non ha parole! -
e poi gli dirò d'indovinare se sia una lacrima
o una perla di sole o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente: avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore, ma non so che cosa.
Metterò un garofano rosso sul balcone,
canterò una canzone tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte e abbraccerò gli alberi e starò in ascolto dell’usignolo, quell'usignolo che canta sempre solo da mezzanotte all'alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume e all'alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli e dirò a ogni casa: "pace!"
e poi cospargerò la terra d’acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell'universo,
poi non lascerò mai morire la lampada dell'altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.
Io vorrei donare una cosa sola al Signore, ma non so che cosa.
E non piangerò più, non piangerò più inutilmente;
dirò solo: avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio e solo con un sorriso, poi non dirò più niente.
                                                                                               (padre David Maria Turoldo)


 Su Telepace Trento (canale 601)
Sabato 01/09/18 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 02/09/18 ore 13.30 e ore 20.35

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Anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo