martedì 4 settembre 2018

VENTITREESIMA DOMENICA B TEMPO ORDINARIO


Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».


Un sordomuto. Assomiglia molto a noi, quando siamo nel peccato.
Possiamo avere accanto Dio, che ci sussurra le parole più dolci e imperiose. Non lo sentiamo. Possiamo aver vicino le persone più acute e più buone, che desiderano aiutarci. Non prestiamo attenzione. O passiamo davanti a chi ha bisogno di un conforto, di una speranza. È come se fossimo soli al mondo, chiusi nel nostro egoismo.
Ma se il sacramento di Cristo ci raggiunge... Può essere la Chiesa che battezza o ci offre il perdono a nome del Signore Gesù. Le dita, la saliva, l’“apriti” possono essere l’acqua o la mano benedicente che si leva su di noi: “Io ti battezzo”; “Io ti assolvo”.
Allora avviene nuovamente il “miracolo”.
Diventiamo capaci, per grazia, di udire le consolazioni e i suggerimenti e gli imperativi di Dio. Diventiamo capaci di rispondergli con la preghiera e con la vita.
E il prossimo è colui che dev’essere ascoltato e confortato. Nasce la fraternità.
Se ci lasciamo salvare dal Signore. Se aderiamo a lui con tutte le forze.



Aprirsi alla Vita
Se oggi la condizione di un sordomuto ci può sembrare avvilente e disagiata, ai tempi di Gesù doveva essere estrema. Possiamo immaginarne la vita da escluso, la frustrazione di non comprendere gli altri, l’incapacità di comunicare i propri pensieri. E poi quel misto di superstizione e religione che lo immagina così, maledetto da Dio, a causa dei suoi peccati. Come sarà la considerazione di sè di quell’uomo, costretto a una solitudine di fatto?
Eppure qualcuno lo porta da Gesù, lo prega di imporgli le mani. Ha pietà e fede per lui. Gesù vuole anzitutto restituire a quest’uomo la dignità. Lo separa dalla folla, dal suo vociare inconcludente e dalle sue mille incomprensioni. Poi, con segni incisivi gli indica ciò che gli vuol fare: gli introduce le dita nelle orecchie come per aprire i canali della comunicazione, gli unge la lingua con la saliva per sciogliergliela. Scrive il card. Martini: «Sono gesti che appaiono persino rozzi, scioccanti. Ma come comunicare altrimenti con chi è chiuso nel proprio mondo e nella propria inerzia? Come esprimere l’amore a chi è bloccato e irrigidito in sé, se non con un gesto fisico?». Gesù aggiunge uno sguardo verso il cielo, cioè una preghiera al Padre, e un sospiro, prima di guarirlo. In quel sospiro, forse, ci siamo anche noi, quando rinunciamo a fare ciò che è nelle nostre possibilità per rendere migliore la vita di chi ci ritroviamo a fianco.


EFFATÀ, APRITI!

Ed oggi ancora, Signore, pronuncia quella parola:
«Effatà, apriti!» di fronte a ciascuno di noi.
Apri le nostre orecchie
affinché non siamo sordi
agli appelli del nostro prossimo,
amico o traditore che sia,
e della tua Voce nella coscienza,
piacevole o antipatica che sia.
Apri le nostre bocche
perché possa sgorgare sincera
la voce dell’affetto e della stima,
ferma e convinta quella
che difende la giustizia e la pace.
Apri le nostre mani
affinché restino pulite
nella nostra professione,
leste e operative nelle nostre attività,
capaci di stringere le mani di tutti,
indipendentemente dal loro colore e calore.
Apri i nostri cuori
affinché vibrino all’unisono col tuo,
vivendo emozioni che conducono a scelte concrete
e sentimenti che resistono
alla corsa del tempo e dei tempi.



VANGELO VIVO 

Annie Sullivan è nota come “Anna dei miracoli”, dal titolo del libro, del film e dell’opera teatrale che racconta il “miracolo” che riuscì a compiere con la sua pazienza e tenacia: insegnare a comunicare a Helen Keller, bambina cieca e sorda in seguito a una grave malattia. Anche Annie era stata segnata da un’infanzia difficile, per un periodo di cecità e il ricovero in un istituto in condizioni poco umane. Riuscì a ordinare la vita di Helen e a tirar fuori la sua intelligenza. Helen fu la prima sordocieca a raggiungere la laurea, a soli 24 anni. Annie continuò per cinquant’anni ad assisterla, in tutte le sue battaglie sociali, civili e politiche.
 


Chi perdona diventa libero

Da uno studio condotto a livello internazionale (Svizzera, America), da psicologi laici, sul tema “perdono / “perdonare”, sono emerse delle osservazioni interessanti che vorrei condividervi attraverso questo strumento.

Perdonare fa bene a una persona che, perdonando, si libera dal vivere in continuo stato di vendetta o dal sentire continuamente sentimenti negativi verso qualcuno. Chi è stato ingannato, ferito, offeso o calunniato soffre su più campi nella sua anima: per l’ingiustizia stessa e per i sentimenti negativi di rabbia, di frustrazione o vergogna. Il perdonare è un’arte che porta una libertà più ampia e aiuta a gestire la vita non in senso passivo ma in senso positivo. In questo modo si riesce a uscire dal ruolo di vittima.
C’è voluto del tempo prima che la psicologia si occupasse del perdono. Il perdono è stato relegato per secoli al campo della morale e della spiritualità. E’ stato ritenuto sempre compito della religione. Il perdonare aiuta a elaborare un’ingiustizia, a staccare da questa esperienza e a integrarla nella storia della propria vita. Le ferite appartengono alla vita. Si tratta di ristabilire un equilibrio e di saldare conti aperti; ma non principalmente tra due persone, tra colui che offende e l’offeso, ma in primo luogo portare equilibrio nella propria anima.
Ferite aperte ce ne sono in tutti campi della vita. Studi condotti in Svizzera dicono che i più giovani se la prendono soprattutto con le bugie, con i tradimenti e con l’essere lasciati.
Per i più avanzati in età invece, pesa il mobbing e l’impressione di essere raggirati nel campo del lavoro. Alle donne invece pesano le ferite soprattutto nelle relazioni, agli uomini nell’ambito del lavoro.
Si può perdonare tutto?
Secondo uno studio americano, solo un quarto degli adulti intervistati adulti sono convinti di questo; dei giovani invece un terzo. 60% degli adulti e oltre il 40% dei giovani ritengono imperdonabili l’assassinio, l’abuso minorile e lo stupro.
Il perdono tuttavia non è sempre ritenuto la soluzione migliore alle offese. Infatti, se al partner che fa violenza si continua a perdonare, non si fa altro che prolungare l’abuso. Una psicoterapeuta svizzera, Verena Kast, mette in guardia dallo pseudo-perdono. Talvolta, da parte delle vittime, non è ancora maturo il tempo per il passo verso il vero perdono. A volte, anche la pazienza e la comprensione riguardano più l’età. Persone anziane sono più disposte a perdonare che non i giovani. Questo è possibile naturalmente perché la fascia degli adulti/anziani hanno fatto l’esperienza della confessione da giovani e dell’aver frequentato la chiesa.
La stabilità emozionale personale gioca naturalmente un ruolo importante nel perdono. Essa si sviluppa nel corso della vita. Gli anziani hanno già fatto più di frequente l’esperienza delle ferite e così hanno imparato a gestirle. La maggior parte della gente ritiene importante elaborare anche le esperienze negative della loro vita. Questo è anche un modo per capire a distanza la propria vita.
Infermieri che lavorano in ospedale o negli ospizi affermano che il perdonare è uno dei desideri più impellenti di chi sta morendo.

Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 08/09/18 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 09/09/18 ore 13.30 e ore 20.35
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